Ottimizzare le superfici in acciaio inox

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Nel corso dei decenni, si sono ricercate tecniche sempre migliori e più efficienti per ricondizionare le superfici di acciaio inox sottoposte a svariati processi. Il presente articolo esamina le diverse tecnologie utilizzate attualmente e le condizioni superficiali che esse sono in grado di garantire. Uno studio indipendente ha dimostrato che la granigliatura con getto d’acqua ad alta pressione rappresenta la soluzione migliore, sia per il grado di finitura raggiunto che per la possibilità di non utilizzare prodotti chimici.

by Ko Buijs, Innomet, Paesi Bassi

La saldatura è un tipico esempio di processo che richiede il successivo trattamento delle superfici in acciaio inox. Le macchie causate dalla saldatura stessa e dai trattamenti termici devono essere rimosse scrupolosamente, poiché le aree superficiali microporose come le zone annerite sono soggette alla penetrazione di cloruri dall’azione aggressiva. Un normale strato di ossido in buone condizioni è spesso solo 10-15 nanometri e consiste in una serie di strati ultrafini sovrapposti, che si gonfiano nel corso del processo di ossidazione. A causa dei loro diversi coefficienti di espansione, questi strati causano un aumento della microporosità a seguito di una variazione nella temperatura. Inoltre, nel metallo sottostante è stato bruciato più cromo ferro, e ciò riduce ulteriormente la resistenza alla corrosione del materiale. Di conseguenza, l’ossidazione causata dalla saldatura e/o dalle condizioni atmosferiche deve sempre essere rimossa, soprattutto se l’area superficiale inizia a mostrare segni di corrosione. Il ricondizionamento serve quindi a conferire alla superficie di acciaio inossidabile una sufficiente resistenza alla corrosione.

Decapaggio e passivazione
Uno dei trattamenti superficiali più noti è quello di decapaggio e passivazione, che negli anni ha sempre garantito ottimi risultati. Durante il processo, lo strato di ossido danneggiato, bruciato e/o contaminato viene rimosso per essere poi ricostruito tramite, appunto, passivazione. Anche se si tratta di un’eccellente soluzione per riportare una pellicola di ossido di cromo indebolita alle condizioni ottimali, vi sono anche degli svantaggi. Oltre al forte impatto sull’ambiente, spesso si richiede che i materiali da decapare vengano inviati a ditte specializzate, interrompendo così il flusso logistico e produttivo interno dell’azienda. Questo ha portato alla ricerca di alternative valide, incentivando lo sviluppo della levigatura meccanica e della granigliatura con sfere in vetro. Tali operazioni, però, producono condizioni superficiali non adeguate all’industria alimentare. Nel tempo, ci si è quindi rivolti verso la granigliatura con sfere in ceramica, che garantisce risultati migliori grazie alla maggior durevolezza dei media usati rispetto a quelli in vetro. Questi ultimi si rompono infatti più velocemente, causando la formazione di spigoli taglienti che sono deleteri per il trattamento superficiale. Tutti questi metodi, comunque, sono idonei a conferire al materiale una resistenza alla corrosione accettabile.

Lucidatura
Due metodi più specifici sono la lucidatura anodica e l’elettrolucidatura, che creano uno strato di ossido particolarmente liscio e di alta qualità. Nel corso del processo, inoltre, vengono rimossi più atomi di ferro che non di cromo o nichel, garantendo una maggior resistenza alla corrosione. Con l’elettrolucidatura, il potenziale positivo dello strato di ossido è addirittura quasi il doppio. Questo valore, invece, decresce quando la superficie viene levigata o granigliata con sfere di vetro, a causa dell’irruvidimento provocato e dell’impatto negativo degli agenti contaminanti, sotto i quali la superficie può essere aggredita. Esiste infatti una forma di corrosione che avviene al di sotto dei depositi di sporcizia, soprattutto in presenza di cloruri: essi possono penetrare più a fondo sotto tali depositi rispetto alle molecole di ossigeno, che sono relativamente più grosse, e pertanto danneggiare il materiale. Il cloro fa parte del gruppo degli alogeni, ovvero generatori di sali. L’acciaio inossidabile necessita di ossigeno per mantenere la propria passività, ma sotto i depositi di sporco questo non si trova in quantità sufficienti. Per questa ragione, l’acciaio inox richiede una manutenzione e una pulizia costanti. Ecco perché le superfici lucidate offrono un vantaggio aggiuntivo: le possibilità di contaminazione sono considerevolmente inferiori. In conclusione, la resistenza alla corrosione di una superficie granigliata a umido è migliore di quella del prodotto semi-lavorato, ma lievemente inferiore a quella ottenibile tramite elettrolucidatura.

Le condizioni superficiali
La resistenza alla corrosione dell’acciaio inossidabile non dipende soltanto dal tipo di lega, ma anche dalle condizioni della superficie. Per esempio, un palo di acciaio inox AISI316 installato in un parcheggio vicino alla spiaggia si corrode a causa degli aerosol marini; tuttavia, questo deterioramento avviene solo sul tubo verticale, sottoposto a levigatura, mentre la sommità lucidata rimane in eccellenti condizioni nonostante sia realizzata nella stesa lega. Ciò dimostra che la levigatura ha un impatto negativo sulla resistenza alla corrosione, anche se questo effetto viene mitigato dall’utilizzo di media a grana più fine. Il decapaggio è spesso un compromesso ideale in termini di capacità e dimensioni. È comunque consigliabile affidare tale trattamento a una ditta specializzata, poiché le sostanze chimiche usate rappresentano un pericolo per la salute umana e l’ambiente. Le aziende che installano linee di decapaggio devono rispettare regole molte severe per evitare di mettere i propri dipendenti a rischio di lesioni interne ed esterne.
Naturalmente, queste misure complicano i processi aziendali, ma mantenere una produzione internalizzata offre anche indiscussi vantaggi, come la possibilità di non interrompere i flussi logistici interni e il risparmio sui costi di trasporto. È altrettanto importante che gli operatori dell’impianto lavorino con i giusti media, inibitori e parametri, così da evitare, per esempio, un sovra-decapaggio. Uno dei principali rischi, poi, è che i bordi di grani meno resistenti all’interno del materiale si compromettano rapidamente, provocando un irruvidimento superficiale. La Figura 1 mostra chiaramente un degrado preferenziale dei bordi di grani  in un campione di acciaio inossidabile austenitico: com’è facile intuire, esso può aprire la strada a qualunque tipo di contaminazione e deposizione microbica. Quest’ultima, in particolare, rischia di portare velocemente alla temuta biocorrosione o MIC (Microbiological Induced Corrosion) e ad altre “infezioni” batteriche. Ecco perché il controllo visivo non è sempre uno strumento ottimale per valutare la rugosità indicativa di una superficie: molte aree irruvidite, infatti, non sono visibili a occhio nudo. In generale, comunque, si può calcolare che una superficie tagliata sia da 2,5 a 4 volte più ampia di una lucidata. È importante inoltre che le superfici siano sì lisce, ma non troppo: quando la rugosità superficiale è inferiore a Ra = 0,2 μm, è possibile che sopraggiunga una contaminazione batterica accelerata, perché aumentano le forze adesive tra la superficie e i batteri. Questo fenomeno è presentato schematicamente nella Figura 2, dove si mostra che il grado di facilità di pulizia di una superficie varia in funzione della sua rugosità. In altre parole, la regola che “più una superficie è liscia e più è facile da pulire” non è sempre vera, quando si parla di batteri e microorganismi. La Figura 3 illustra in modo semplice come avviene tale rimozione di batteri. Un’indagine topografica della TNO, l’organizzazione olandese per la ricerca scientifica applicata, ha dimostrato che la granigliatura tramite sfere di vetro produce superfici particolarmente irruvidite, con valori medi pari a Ra = 1,3 μm; le superfici trattate con granigliatura a umido, invece, hanno raggiunto valori tra 0,25 e 0,60 μm.

Granigliatura con getto d’acqua ad alta pressione
Negli ultimi anni, la granigliatura con getto d’acqua e additivi abrasivi è stata oggetto di grande attenzione e, grazie ai vantaggi che garantisce, si prevede che sarà sempre più utilizzata. Da decenni ad esempio, Rösler tratta i componenti aeronautici proprio con questo metodo, utilizzando abrasivi sferoidali: per comodità, l’azienda chiama questo processo, inclusi i media usati, “PureFinish”. È il trattamento di preferenza di molti clienti, tra cui Rolls Royce e Airbus. L’unione di acqua e additivi provoca la sospensione dei media, che vengono spruzzati ad alta pressione sulla superficie. Si ottiene così una finitura esteticamente attraente, oltre a creare un aumento di pressione sulla superficie a causa di un fenomeno noto come “pallinatura”. Per questa ragione, si è pensato di utilizzare questa tecnica di finitura anche per migliorare e ricondizionare l’acciaio inox con l’obiettivo di produrre superfici più igieniche e facili da pulire. L’azione abrasiva degli additivi, inoltre, permette di sostituire il processo di decapaggio e passivazione con questa tecnologia, rimuovendo allo stesso tempo le macchie e ossidazioni provocate da trattamenti termici o di saldatura. Tutto questo è ben visibile nella Figura 4, dove una metà del componente non è stata mascherata durante il processo. È però necessario che vengano rispettate alcune condizioni, al fine di ottenere buoni risultati. Una ricerca indipendente svolta dalla TNO ha rilevato alcuni dati interessanti riguardanti i valori SRI (Soil Retention Index, ovvero l’indice di ritenzione della sporcizia), che forniscono un’informazione pratica sul numero di agenti contaminanti ancora presenti su una superficie appena pulita. Le superfici in oggetto sono risultate rispondere a tutti i requisiti di igiene e capacità di pulizia imposti dal EHEDG (European Hygienic Engineering & Design Group) per l’industria alimentare e farmaceutica. Questi valori SRI, assolutamente riproducibili, sono persino migliori di quelli ottenuti con le tecniche attualmente impiegate, soprattutto perché la rugosità superficiale si attesta tra 0,25 e 0,60 μm, un valore ottimale (Figura 2); l’EHEDG richiede una rugosità di Ra <= 0,8 μm, e pertanto questa specifica è ampiamente soddisfatta. La Figura 5 mostra invece l’alloggiamento di un filtro magnetico rotante di tipo CleanFlow realizzato in acciaio inox AISI316, prima e dopo il trattamento PureFinish. In collaborazione con i propri clienti, il laboratorio di Rösler ha effettuati i test necessari per individuare i parametri di processo ottimali; è possibile, ad esempio, selezionare il tipo di acqua con cui lavorare, dalla normale acqua di rete a quella trattata con osmosi inversa. L’acqua di rete può talvolta avere un contenuto relativamente elevato di cloruro, che può macchiare le superfici non appena viene rimossa la patina di ossido: il motivo di questo fenomeno è che il cloro è un alogeno, cioè un generatore di sale. In questi casi, è necessario utilizzare acqua demineralizzata.

I vantaggi di questo trattamento superficiale includono:

  • Struttura superficiale definita, omogenea e riproducibile con una maggiore resistenza alla corrosione
  • Elevata resistenza agli attacchi corrosivi sotto i depositi di sporcizia
  • Possibilità di sostituire il decapaggio e la passivazione, che spesso devono essere svolti da ditte specializzate
  • Rimozione di macchie, irruvidimenti e ossidazioni causate dal processo di saldatura
  • Ottenimento di una superficie facile da pulire che risponde ai requisiti di igiene e sterilità
  • Rimozione di praticamente qualsiasi macchia sulla quale si possa depositare del cibo
  • Riduzione dei tempi per la pulitura, e di conseguenza maggiore capacità produttiva
  • Leggero aumento della pressione sulla superficie, che riduce il rischio di cricche da tensocorrosione
  • Rimozione degli incavi microscopici presenti sulla superficie e dovuti alle lavorazioni
  • Garanzia che non si generi alcuna deformazione, perché il materiale rimane freddo nel corso del trattamento, a differenza di quanto avviene con la granigliatura con sfere di vetro. In particolare, l’acciaio  
    inossidabile austenitico ha un alto coefficiente di espansione, e perciò si deforma piuttosto in fretta all’aumentare della temperatura
  • Creazione di superfici idrorepellenti, che garantiscono una minore adesione di vapori e altre sostanze
  • Possibilità di integrare gli impianti PureFinish all’interno delle linee di produzione esistenti
  • Protezione della superficie dall’impatto degli agenti abrasivi a opera della pellicola d’acqua, con una conseguente maggior qualità dei risultati
  • Forte riduzione dell’impatto ambientale, poiché si lavora in quasi totale assenza di prodotti chimici
  • Possibilità di meccanizzare o robotizzare il processo con facilità. È possibile fare in modo che un computer analizzi la geometria del pezzo e ne controlli il trattamento. Minimizzando la necessità di operatori si elimina quasi totalmente anche il fattore umano, con tutte le limitazioni che esso comporta.

Come si è detto, l’aumento della pressone superficiale garantisce un minor rischio di cricche da tensocorrosione nell’acciaio inossidabile austenitico: questa forma di corrosione dell’acciaio inox è dovuta a una combinazione di stress da tensione meccanica, temperature elevate (> 40°) e presenza di cloruri, che causa una pericolosa forma di corrosione transcristallina che è molto difficile da individuare. Il materiale rischia di cedere all’improvviso, con conseguenze potenzialmente molto gravi. Ad esempio, in piscina, la rottura improvvisa di un sistema di sospensione in acciaio inox può causare morti o ferite. L’applicazione di tensioni residue di compressione su una superficie, per esempio tramite il processo di PureFinish, permette di ridurre lo stress da tensione, come mostrato dalla Figura 6. Uno dei pochi svantaggi della tecnologia PureFinish è la necessità di lavorare in modo molto pulito in fase di produzione dell’acciaio: la contaminazione con particelle di ferro, infatti, non viene rimossa efficacemente da questo trattamento. La presenza di tale sostanza può essere dovuta, per esempio, all’uso di utensili in acciaio, macchine per la piegatura, ecc. Il decapaggio è invece in grado di rimuovere queste particelle, se non sono penetrate troppo a fondo nella superfice a causa della loro formazione anodica (di conseguenza, ad esempio, i punzoni per le presse piegatrici devono essere rivestite in nastro adesivo per evitare l’assorbimento del ferro). Se non è possibile controllare questo fenomeno, è necessario acidificare le aree critiche prima del processo con getto d’acqua, in modo da rimuovere più particelle di ferro possibile. Anche in questo caso, insomma, “prevenire è meglio che curare”. Un altro svantaggio di questa tecnica, infine, è l’elevato grado di rumore (circa 80 dB), che richiede che vengano prese misure appropriate. È comunque sufficiente utilizzare una cabina di granigliatura chiusa per ridurre tale livello a un valore accettabile.

L’attrezzatura
Esistono cabine di granigliatura che possono essere utilizzate da un’altezza relativamente comoda e con un’area di lavoro da 700 x 700 mm a 2000 x 2000 mm (Figura 7). I sistemi, aperti o chiusi, possono variare in base allo spazio disponibile, con un ingombro da 6000 x 4000 mm a 10000 x 8000 mm (Figura 8). Anche gli ugelli di spruzzamento sono disponibili in diversi diametri. La forma del fascio di granigliatura è determinata da quella dell’ugello: si tratta di un aspetto di grande importanza per garantire una buona distribuzione dell’abrasivo e, di conseguenza, una finitura superficiale uniforme. Il processo si svolge a una pressione leggermente alta per facilitare le operazioni manuali. Tutti gli impianti sono infine dotati di un sofisticato sistema di ricircolo dei reflui che permette di minimizzare il consumo di acqua e abrasivi.

Il valore SRI
Il test dell’SRI (Soil Retention Index, ovvero l’indice di ritenzione della sporcizia) è stato sviluppato dalla TNO (l’organizzazione olandese per la ricerca scientifica applicata) per misurare l’adesione o il distacco di una particolare proteina da una superficie in acciaio inox. Questo metodo calcola la quantità di spazi aperti nelle porzioni più profonde delle aree irruvidite, ottenendo così un nuovo valore definito che risulta dalla moltiplicazione del numero di picchi, la percentuale di spazi aperti negli avvallamenti e la rugosità media della superficie. Va quindi oltre quest’ultimo dato, che da solo non sempre riesce a spiegare alcuni particolari comportamenti adesivi. Questa misurazione getta le basi per descrivere e valutare la facilità di pulizia di una superficie a livello microbico, fornendo un’indicazione importante della quantità di sostanze indesiderate ancora presenti su una superficie dopo un determinato processo di pulitura. In pratica, quindi, questo parametro mostra chiaramente la correlazione tra struttura superficiale, contaminazione e facilità di pulizia. Il valore di rugosità, da solo, indica solo la rugosità media e non dà praticamente alcuna informazione sui picchi e avvallamenti presenti sulla superficie. Più è basso il valore SRI e minore è lo sforzo di taglio durante la pulizia, un parametro particolarmente importante quando la superficie deve essere pulita sul posto e in maniera controllata (la cosiddetta pulizia CIP, Cleaning In Place). In Figura 9 è mostrata l’indagine topografica in millesimi di millimetro di una superficie progettata dalla TNO e trattata con il sistema PureFinish. Con una scala così ridotta, si riesce a vedere una sorta di paesaggio collinoso: se si osservasse in modo analogo un materiale granigliato con sfere di vetro, si vedrebbe qualcosa di simile a una regione alpina. La Figura 10 mostra chiaramente la differenza tra la finitura 2B e quella con PureFinish in termini di agenti contaminanti residui. Su una superficie tagliata o granigliata, questo valore è anche peggiore che con la finitura 2B, la quale però, a sua volta, risulta meno valida della tecnologia PureFinish. La finitura 2B, per inciso, è un processo standard nel mercato dei fogli laminati a freddo, che sono fortemente levigati. Di conseguenza, la TNO ha concluso che il trattamento in oggetto è la soluzione migliore per eliminare le sostanze indesiderate da una superficie in modo ottimale.

Passivazione
Come già accennato, si può ottenere l’eccellente passivazione di una superficie con un trattamento a getto d’acqua, grazie all’ossigeno presente nell’aria. Tuttavia, questo significa che occorre dare al materiale il tempo di formare un nuovo strato di ossido dello spessore desiderato (da 10 a 15 nm). Questo strato si forma immediatamente durante un processo di granigliatura, ma raggiunge il giusto spessore dopo circa 4 ore. È molto importante che nessun operatore tocchi il materiale in questo lasso di tempo, in modo da evitare di lasciare impronte: oltre alle conseguenze dal punto di vista estetico, questo ridurrebbe anche la resistenza alla corrosione della superficie. L’aumento della passività può essere misurato tramite appositi metodi. Come detto, una superficie appena trattata è già in condizioni passive, ma non ancora quelle ideali: se non si ha la possibilità di attendere, si può utilizzare un agente ossidante, generalmente una soluzione di acido nitrico.

Per maggiori informazioni: www.rosler.com

L’autore
Ko Buijs è specializzato in proprietà metallurgiche e problemi legati alla corrosione dell’acciaio inox e dei metalli speciali. È anche docente presso svariate organizzazioni, associazioni del mondo dell’acciaio inossidabile, scuole tecniche e centri di innovazione. Ha pubblicato oltre 150 articoli su numerose riviste tecniche.

Ko Buijs, Innomet, Paesi Bassi

Per maggiori informazioni: www.innomet.nl